2011
installation for projection, unfinished film with casual and variable speed, asinchronous audio loop, disused car factory, and a seat for viewer's solitude
2009
installation for projections, salt landscape, reflected spectators and displaced identities
installation for two rooms, superimposed bodies and imploded narrations
installation for projection and mobile lens
"La macchina da presa è servita ad esplorare la figura umana e a
concentrarsi sul viso che ne è l'essenza più preziosa. Mostruosamente ingrandita sullo schermo, la faccia umana va trattata come un paesaggio.
Come un paesaggio, il viso deve cambiare secondo le variazioni dell'ombra e della luce. Come filtriamo il cielo per graduare il suo fulgore e puntiamo la
macchina da presa sul riflesso di un lago, i valori che inquadrano il viso umano devono essere visti obiettivamente come se fossero solo una superficie inanimata.
Se si rivela impossibile migliorare l'aspetto di un volto, allora dobbiamo fare ricorso alle ombre profonde che dotano gli occhi di intelligenza. E se ciò
non bastasse, meglio immergere il viso in un'impietosa oscurità.
Ma che si tratti del viso, del corpo o di un oggetto, il problema è sempre lo stesso: le superfici senza vita devono reagire alla luce e quelle troppo
brillanti devono essere attenuate."
Josef von Sternberg
installation for projection and 3775 printed frames
Nessuno sa quale fosse il proposito originario o se l’abbia mai avuto. Personalmente credo che fin dall’inizio fosse una pura creazione artistica. Gli suggerisce idee, provoca emozioni, innesca fantasie, nel bene e nel male lo nutre. Giorno dopo giorno costruisce dentro di lui. Cosa costruisce? Idee che egli sapeva che non erano sue perché gli piacevano. E qui le metafore su cos’è la scrittura diventano un attentato all’intelligenza del commissario … le idee migliorano, il senso delle parole vi partecipa, il plagio è necessario, il progresso lo implica. Esso stringe dappresso la frase di un autore, si serve delle sue espressioni, cancella un’idea falsa, la sostituisce con un’idea giusta.
Il video dead SEEquences è composto da 3770 frames. Lavorando fotogramma per fotogramma si arriva a scoprire come all’interno delle singole immagini non succeda mai nulla, e come tutto invece accada tra un frame e l’altro, nell’intervallo invisibile che li separa e che non ci è dato conoscere. L’atto di inchiodare i fotogrammi alle pareti è il dispiegarsi di una inservibile geografia totale dello sguardo: il film è tutto qui, inchiodato davanti ai vostri occhi, eppure non c’è nulla da vedere, la verità, come sempre, è solo altrove. Dentro il frame non accade mai nulla.
In meno di mezz'ora, infine, si erano cominciati a sentire quei piccoli urti, secchi e duri, che lui si aspettava. I passeggeri venivano sballottati qua e là ad ogni impennata della nave, tanto che sembrava d'essere a bordo di un transatlantico durante una tempesta, anziché su un'astronave. Gli spazi cosmici erano calmi e silenziosi come sempre. Era il pilota che lanciava disperati getti di vapore dai tubi di scarico, allo scopo appunto di far compiere alla nave, per normale reazione, una serie di sbalzi e di sbandamenti. Questo voleva dire che l'inevitabile era già avvenuto: gli schermi erano ormai esauriti e la nave non era più in grado di sopportare un colpo diretto.
Si tratta di uno studio sulla sparizione di un’immagine. Per esplorare i territori dell’invisibilità, ho scelto l’immagine di un corpo nudo, quanto di più organico, tangibile e presente ci sia per ogni essere umano. Non un corpo, ma l’immagine di un corpo. In questo scarto tra il corpo e la sua immagine già agisce il principio della sparizione: tra l’oggetto e l’immagine dell’oggetto c’è una distanza, c’è un limite, una separazione. Del resto, questo è il funzionamento stesso del linguaggio, è l’unico modo che conosciamo per relazionarci col mondo e con gli altri; tra ogni parola e il suo significato ritroviamo questa distanza come un peccato originale, un intervallo nel quale il mondo svanisce per poter essere detto: per comunicare è necessario che il mondo e l’uomo scompaiano. Per questo l’arte deve essere incomunicabile. L’arte dovrebbe essere il tentativo supremo e vano, dunque assolutamente necessario, di annullare in profondità la separazione originaria, fino al punto in cui la lingua diviene un orpello superfluo.
2007
installation for projection, single channel video, nailed photos, old bicycle, broken dishes, forgotten debris and cigarette butt
Lo sguardo, la memoria, la possibilità di trasfigurazione della realtà a partire da una condizione angusta e limitata.
Il guardare non è mai puro ed è sempre illusorio: come il ricordo, ha una natura stratificata, mai diretta, e anzi, al contrario, sempre mediata, sempre riflessa.
Quel che vedo, di fronte a me e al presente, si intreccia e si dissolve in infiniti sguardi passati: ogni immagine innocente trasuda una complessità troppo più grande di due occhi, anche se ben sgranati.
Difficoltà della visione.
Guardare, ma farlo davvero, dentro l’esperienza e oltre la superficie dei colori e del contrasto luce/buio, è un atto temerario.
Guardare più in là, scavare sotto, scivolare obliquo fino ad osservarsi dall’esterno pur trovandosi dentro le viscere del proprio sguardo; scoprire l’insostenibilità del vedere cosa si è, con occhi pietrificati da statua di un tempo irraggiungibile - sempre passato eppur sempre atteso, a venire, in ogni caso perduto, mancato, fuggito.
La memoria personale è visione indefinita e spettrale che non combacia mai con quel che è stato (è esistito davvero, quel che ricordo?). La memoria è la maceria dello sguardo. Ed è necessario partire dalle rovine, dai resti, dalle tracce che già divengono in un momento vento e cenere, per riuscire a trasfigurare la realtà in poesia.
Immettere direttamente chi osserva dentro il ricordo, dentro la memoria, al centro dell’assenza che questi portano con sé. Far si che lo spettatore si appropri di un ricordo non suo e che lo senta suo come nessun altro (forse è lui il bambino che fugge via in bicicletta, verso il nero dell’immagine…), rivelando il segreto che nessun ricordo ci appartiene del tutto, e che la memoria non può che essere svista, illusione, travestimento, riflesso. L’immagine è una fragile, dolce, sincera menzogna.
2006
interactive installation for projection on hover nightgone, empty bed, distant voices and invisible lamb